venerdì 8 agosto 2008

Il mito dell'ambra e la Valle di Ansanto

Antologia letteraria...IL MITO DELL'AMBRA. LA VALLE DI ANSANTO
Il mito dell'ambra.
La stipe votiva del santuario di Mefite nella Valle d’Ansanto (in provincia di Avellino) restituì anni fa un importante oggetto votivo, testimonianza della sua frequentazione fin da tempi remoti: una collana di ambra; oggi conservata nel Museo Irpino. La collana è fatta a grossi pendagli in forma di testa femminile, vista di prospetto con tutulus. Ragioni stilistiche indussero a datare le ambre del gruppo di Roscigno, con cui questa della Valle di Ansanto trova il più diretto confronto, alla fine del VI secolo a. C. Nuovi rinvenimenti a Melfi, Pisciolo (II metà V secolo a. C.), a Telese (fine del V sec. a. C.) e a Paestum (Andriuolo fine V-IV), inseriscono questi prodotti in una nuova più ampia problematica storica.
Gli antichi attribuivano poteri straordinari all’ambra, che la mitologia greco-romana collegava alla tragica fine di Fetonte, il giovane figlio del Sole fulminato da Zeus quando alla guida del carro paterno stava per dare fuoco al mondo intero. Le sorelle di Fetonte, che ne piansero la morte , vennero tramutate in alberi, da cui trasudavano non lacrime ma l’ ambra.
Gli antichi conoscevano bene la provenienza di questa resina fossile. Plinio il Vecchio ci dice che

l’ambra proveniva dalla Germania e di lì attraverso la Pannonia essa giungeva ai Veneti nell’alto Adriatico. E Tacito nella sua opera Germania riferisce come nell’estremo Nord dell’ Europa si trovi una popolazione, gli Estii, che raccoglie, nelle secche e sul litorale “dell’Oceano settentrionale”, l'ambra, che chiamano gleso. Essi, però, non si son posti il problema né della natura di questa sostanza né quale causa la produca; la raccolgono grezza, e la cedono per poco o niente. Per lo storico romano l’ambra è una secrezione di alberi, perché spesso si scorgono in trasparenza animaletti terrestri e anche volatili che, invischiati in quel liquido, vi restano racchiusi al solidificarsi di esso.
Di recente la prof. Francesca Fiorile ha scritto un interessante volume dal titolo PRESENZA E SCOMPARSA DELL’AMBRA IN LUCANIA TRA ANTICHITÀ E MEDIOEVO, che il Consiglio Regionale della Basilicata ha pubblicato nel 2004, come lodevolmente sta facendo da alcuni anni con opere che interessano la regione. Il volume della Fiorile apre nuove prospettive anche per capire da dove potrebbe provenire la collana di ambra ritrovata nella Valle di Ansanto.
“Nei paesi nordici –scrive la studiosa- l’ambra veniva usata fin dal Neolitico; sulla base dei ritrovamenti si possono ricostruire le tre vie fondamentali sulle quali si muoveva l’ambra: una occidentale, che collegava il Mare del Nord alle foci del Rodano; una centrale che scendeva dalle foci della Vistola all’alto Adriatico e una terza, orientale, dalle coste meridionali del Baltico raggiungeva il Mar Nero.Sulla base dei rinvenimenti a sud delle Alpi, il corso dell’Adige sembra costituire la vera porta d’ingresso dell’ambra nordica nella pianura padana fino al XIII secolo a. C.”.

Nella penisola italiana il commercio dell’ambra fu fiorente nel nord dell’Adriatico. “Durante la prima metà del primo millennio a. C. le importazioni di ambra grezza dall’Europa settentrionale sono ingenti, tanto che nessuno dei popoli italici rimase estraneo a questo fenomeno e alle sue evidenti implicazioni economiche e culturali: i monili più ricercati erano destinati a personaggi femminili di alto rango, i caratteri terapeutici e apotropaici attribuiti all’ambra ne promuovono l’uso anche presso i ceti inferiori e non sono rari i casi di grani di questa sostanza rinvenuti in tombe maschili e persino di guerrieri”.
Una delle aree più ricche di manufatti in ambra e centro nevralgico dei commerci è l’area Picena, posta nel Medio - Adriatico. L’abbondanza dei reperti in ambra qui rinvenuti giustifica, per molti studiosi, la tesi che i Piceni detenessero nell’antichità il monopolio di questo commercio in Adriatico.
“L’area basso adriatica - sostiene la Fiorile- comprendente il territorio dei Dauni e dei Peuceti, ha restituito il maggior numero di ambre figurate e quelle di più elevato pregio artistico: Canosa si pone come il più probabile centro di produzione, ma è possibile che botteghe di alto artigianato fossero presenti anche negli altri siti. Tra la fine del VI secolo a. C. i rinvenimenti di manufatti in ambra si addensano particolarmente in Daunia e nell’area di Melfi.
“Il convergere di eccezionali testimonianze in questi territori ha alimentato l’ipotesi che localizza a Canosa, alla fine del VI e nel corso del V secolo a. C., botteghe di alto livello specializzate nella lavorazione delle ambre. “In questo centro - fa rilevare la studiosa- si sarebbero stabiliti artigiani provenienti dall’area campana, che avevano dato vitalità ad una produzione di ambre, influenzata dal mondo etrusco ma aperta anche alla suggestione dei modelli ellenici.
Al V secolo risalgono le tombe più ricche, che hanno restituito i pendagli d’ambra di fattura pregiata: da Melfi- Pisciolo provengono, oltre a protomi umane e di ariete, una grande figura di guerriero alato e due figure femminili alate, forse rappresentazioni di sfingi, di produzione locale; allo stesso periodo vanno attribuiti i rinvenimenti di Banzi e di Ripacandida. L’uso di monili in ambra figurata continua anche nella seconda metà del IV secolo”.

La vicinanza all’area Melfese e alla Daunia potrebbe far pensare anche per l’ambra figurata ritrovata nella Valle di Ansanto ad una provenienza dauna, a dimostrazione di un legame culturale del territorio irpino con le regioni adriatiche del Mezzogiorno.
Fonte: Europamente

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